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Protesi d’anca, in Italia ogni anno 100 mila interventi

MILANO (ITALPRESS) – L’intervento di protesi d’anca consiste nella sostituzione chirurgica dell’articolazione con componenti artificiali biocompatibili e a bassa usura: viene eseguito soprattutto per trattare l’artrosi dell’anca ma anche fratture, necrosi alla testa del femore o malattie congenite o acquisite in giovane età. In Italia si registrano ogni anno circa 100 mila interventi di sostituzione protesica d’anca: un numero in costante crescita per l’aumento dell’aspettativa di vita, ma non solo; grazie a nuovi approcci chirurgici meno invasivi, materiali innovativi e all’utilizzo di navigatori e robot, oggi l’intervento è meno traumatico e più preciso, il dolore postoperatorio è minore e il ritorno a una vita normale più rapido. Il recupero della deambulazione inizia già nelle prime ore e nella maggior parte dei casi entro 6-12 settimane si riprende una vita attiva.
“Quando un’articolazione è compromessa, le cause sono in primis legate all’artrosi ma non solo: basti pensare che uno dei principali motivi per fare una protesi d’anca è una frattura del femore prossimale dell’anziano, ma ci sono altre patologie come l’esito di patologie dell’infanzia, displasia, scivolamento della testa, tumori e infezioni; molte cause portano poi a un tipo di intervento di protesi”, ha affermato Filippo Randelli, direttore dell’Unità operativa complessa dell’Istituto ortopedico Gaetano Pini di Milano e docente universitario, intervistato da Marco Klinger per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
In caso di patologie congenite, spiega Randelli, “l’articolazione dell’anca non scorre come dovrebbe o ha carichi alterati: in questi casi esperti e chirurghi attuano interventi per modificare la forma dell’articolazione e questo permette di ritardare il problema e la diagnosi precoce. Qualche volta il paziente arriva con dei sintomi già presenti e una degenerazione eccessiva: gli ultimi sintomi sono legati a un dolore abbastanza costante, soprattutto nei movimenti, e a limitazioni funzionali. In questo caso i pazienti non riescono nemmeno a mettersi i calzini, andare in bici, uscire o entrare dalla macchina, fare più di 500 metri a piedi: il paziente si accorge prima del chirurgo che è il caso di operare”.
I sintomi, prosegue, “iniziano a pervenire quando si riscontrano limitazioni nell’accavallare le gambe, dolori inguinali come la pubalgia, problemi al ginocchio. Il problema non riguarda solo gli anziani, ma anche i più giovani: lo sport eccessivo, fatto senza controllo, sviluppa al livello della testa del femore una bozza che con il tempo distrugge l’articolazione”.
Randelli riprende poi la definizione di una rivista medico-scientifica britannica secondo cui “quello di protesi d’anca è stato definito l’intervento del millennio: non esiste o quasi un altro intervento con percentuali così alte di successo. Negli ultimi anni si sono sviluppati approcci chirurgici a ridotta invasività, che hanno come vantaggio la riduzione dei tempi di ripresa funzionale: questo soprattutto per i giovani può essere importante. Al contempo si sta sviluppando la chirurgia robotica: non siamo ancora al top, non ci sono i robot che operano ma quantomeno aiutano gli uomini a essere più precisi”.
In conclusione, un monito sulla selezione del medico per farsi impiantare la protesi: “L’80% della popolazione mondiale va su Internet per scegliere il chirurgo da cui farsi operare, ma bisogna saper scegliere: spesso chi va su Internet si ferma ai primi tre siti, ma dovrebbe navigare su quelli scientifici; anche il passaparola può essere efficace. Gli ultimi dati ci dicono che una protesi dopo vent’anni ha una sopravvivenza del 95%: c’è sempre tuttavia un 5% di possibilità di fallimento precoce o tardiva, in questo caso per colpa dell’usura; molto dipende quindi da come il paziente usa la protesi. Se il chirurgo si rende conto che una protesi si sta usurando può fare un intervento di revisione abbastanza semplice e cambiare solo i pezzi usurati, ma se si aspetta il materiale di usura può mangiare l’osso e rendere la vita molto più complicata al paziente ma anche al chirurgo. La protesi, se ben impiantata, permette di fare certe cose ancora meglio di un’articolazione che magari era bloccata da una patologia congenita: questo non vuol dire ovviamente consigliare sport ad alto impatto a pazienti con protesi, per quello bisogna sempre parlare con il medico e farsi seguire in maniera costante”.

– Foto Italpress –

(ITALPRESS).